Qual è il
nucleo centrale e comune alle varie culture e
religioni? A questa domanda cerca di rispondere un denso saggio di Valentina Pisanty pubblicato su
Golem l’indispensabile. La lettura del quale non è magari adattissima alle calure estive, ma che vale la pena essere segnalato perché estremamente interessante. In sintonia con diversi autori, l’autrice individua nella cosiddetta
“regola d’oro” (“Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” o, in positivo, “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”) questo nucleo centrale. Inviti in tal senso sono infatti rivolti dai testi sacri ai fedeli di
quasi tutte le religioni. Lo fanno infatti quella ebraica, quella cristiana, l’islam, l’induismo, il buddismo, il giainismo, il confucianesimo e anche alcune culture africane. Tutto risolto, quindi? Affatto, perché una volta che ci si è messi d’accordo sul principio, lo stesso va applicato. Nel caso specifico:
chi è il mio prossimo? L’ebraismo del tempo di Gesù, per dire, escludeva dalla categoria “prossimo” gli “altri”, gli stranieri, gli appartenenti ad altre religioni. La conclusione dell’autrice è quella di rinunciare a fondare in maniera trascendente il principio di reciprocità e demandare la scelta alle responsabilità individuali. A ben vedere, però, c’è una religione che non pone limiti al concetto di prossimo, lo fa in maniera esplicita e addirittura invita a non chiedersi chi sia il proprio prossimo. La parabola del
buon Samaritano è molto esplicita in questo: è prossimo chiunque noi accettiamo di incontrare. In questo la responsabilità è demandata alle responsabilità individuali, come richiesto anche dall’autrice. Magari anche altre religioni hanno un concetto così esteso di prossimità, ma è bene parlare solo di ciò che si conosce meglio.